La "ricostruzione" di cui
nessuno vuole parlare

 

Appello per la ricostruzione del diritto e della democrazia internazionale dopo la guerra. MO è tra i primi firmatari.

Tre pilastri del "vecchio ordine" sono stati ripristinati: la guerra, la dottrina della sovranità, lideologia della diseguaglianza tra i Paesi più potenti del Nord del mondo, che si arrogano lautorità universale, e gli altri Paesi.

LItalia, per voler stare nel club dei Paesi privilegiati, non può contraddire il suo ruolo nel Sud Europa e nel Mediterraneo, come ponte e sponda per i popoli, le culture, le religioni del Sud del mondo, con cui è chiamata allintesa, alla cooperazione e ad una pacifica, interdipendente sicurezza.

Occorre un impegno, non solo culturale ed etico ma anche politico, per concorrere a instaurare il diritto e la democrazia internazionale.

Il 29 giugno si è tenuto a Roma un incontro di presentazione dellappello. È prevista unassemblea nazionale da convocarsi a settembre.

La guerra combattuta nei Balcani, che lascia aperta una crisi gravissima nel cuore dellEuropa, dopo aver mancato il suo obiettivo di evitare una catastrofe umanitaria e di salvare il Kosovo, introduce un nuovo scenario in cui sono rimessi in gioco i rapporti tra i grandi poteri mondiali e lo stesso ordine giuridico internazionale che ha regolato la storia del mondo nella seconda metà di questo secolo.
Il fatto che per giocare questa partita, dopo la caduta del muro di Berlino, sia stata richiamata in servizio la guerra, già bandita dal diritto internazionale, e ora ammodernata con nuove armi e gestita da nuovi soggetti interstatuali sottratti al controllo democratico e alle regole del diritto, apre una fase di estremo pericolo e di imprevedibili dolori per ogni singolo Paese e per lintera comunità internazionale.

Le Violazioni
Come è stato osservato in sede analitica, la guerra appena conclusa ha voluto essere una "guerra costituente": operando infatti una rimozione e una rottura rivoluzionaria del vecchio ordinamento, si è proposta come fondativa del nuovo.
Di fatto essa si è iniziata e dispiegata in violazione sia del diritto internazionale generale e delle competenze riservate in via esclusiva alle Nazioni Unite, sia del diritto interno degli Stati Uniti e delle leggi che regolano in materia di guerra i rapporti tra presidente e Congresso, sia della Costituzione italiana che ripudia la guerra e attribuisce al parlamento e al presidente della repubblica il potere di deliberare e dichiarare lo stato di guerra in cui il Paese venga suo malgrado a trovarsi.
Si tratta di una illegittimità insanabile in radice, ma che proprio perciò tende a instaurare una nuova legittimità: la sostituzione della Nato allOnu in tutta larea euro-asiatica, il diritto di intervento degli Stati Uniti per la difesa dei propri interessi vitali in ogni parte del mondo, il diritto di "ingerenza umanitaria", il diritto di guerra non solo degli Stati ma di nuovi pretesi soggetti sovrani, come la Nato, dimostratasi peraltro capace di iniziare una guerra ma non in grado di concluderla.
Tale nuova legittimità non configura tuttavia una rivoluzione mirante a conquiste più avanzate, ma è una restaurazione e anzi una reazione a conquiste già realizzate. Essa comporta infatti il ripristino di tre pilastri del vecchio ordine, conclusosi nel Novecento con le tragedie dei totalitarismi, della seconda guerra mondiale e del genocidio nazista degli ebrei: la guerra, la dottrina della sovranità e lideologia della diseguaglianza.
La guerra
che, senza distinzione tra difensiva e offensiva, era stata per secoli legittimata come il potere del re e degli Stati sovrani di farsi giustizia da sé, viene oggi ripristinata come giurisdizione e punizione dei forti contro i deboli. La sovranità, che era stata costruita come esercizio di un potere non vincolato dalle leggi e indipendente, e anzi superiore ad ogni altro potere, viene oggi riproposta come rivendicazione di una sovranità universale in capo a ununica grande potenza abilitata a dirigere e a pacificare un mondo indocile e globalizzato, senza "i lacci e lacciuoli" delle procedure dellOnu. Lideologia della diseguaglianza, che fin dallantichità classica aveva generato il dualismo di signori e servi, liberi e schiavi, nazioni civilizzate e barbari, razze superiori e inferiori, caste e fuori casta, sessi dominanti o dominati, viene oggi riproposta nelle forme di una ristrutturazione piramidale e gerarchica della società e di una disparità di diritti reinterpretati come variabili del mercato, nonché nelle forme di un direttorio politico-militare di 8 o di 19 Paesi tra i più ricchi e potenti del Nord del mondo, che si arrogano lautorità universale e i poteri appartenenti allintera comunità dei 185 Paesi membri delle Nazioni Unite.
È per lesperienza dei tragici esiti di un ordine in tal modo fondato, che lumanità, assumendosi un ruolo costituente, decise, dopo la notte del nazismo e della shoà, di mettere fuori legge la guerra, di ricondurre le sovranità alla regola del diritto e ai limiti dettati dallinterdipendenza e dallappartenenza a ununica comunità democratica delle nazioni, e di negare la diseguaglianza promuovendo un ordinamento basato sulleguaglianza e la dignità di tutte le persone e delle "nazioni grandi e piccole".
Ignorare o rovesciare queste conquiste, già messe a dura prova per quattro decenni dalla sfida tra i blocchi, dalla guerra fredda e dalla minaccia nucleare, significherebbe ora non solo liquidare lOnu e ridurla a una ong caritativa, ma anche rovesciare questo ordinamento nel quale gli stessi diritti umani sussistono e sul quale tutte le nostre libertà e i nostri diritti politici, civili, economici, sociali e culturali hanno il loro fondamento e trovano la loro sanzione.

Riguadagnare la nostra autonomia
Ciò è in particolare contro lo spirito dellEuropa e le lezioni della sua storia. Le vicende di questi mesi dimostrano che i Paesi europei, e prima di tutto lItalia, pur enunciando valutazioni ed intenzioni diverse, ai massimi livelli di governo, sulle motivazioni e la condotta della guerra, si sono trovati prigionieri di un meccanismo che non permette loro alcuna autonomia di decisione, pur essendo in gioco vitali interessi nazionali. Riguadagnare questa autonomia non può essere ora il frutto di una decisione istantanea, di un atto volontaristico e velleitario, ma richiede una determinazione e una preparazione di lunga lena nelle opinioni pubbliche, nelle forze politiche, nei parlamenti, a cominciare da una riflessione critica e da un voto sui "nuovi orientamenti" adottati dal Consiglio atlantico, con la procedura del "silenzio-assenso", nel vertice del 25 aprile a Washington.
Tuttavia, al di là dei condizionamenti strutturali, cè anche una percezione erronea degli interessi nazionali, soprattutto sul piano economico e competitivo, che porta a condividere ogni scelta, anche sbagliata, dellAlleanza, per adempiere allesigenza considerata prioritaria di appartenere al club dei privilegiati del mondo diseguale, e di restare, comunque, nel campo dei vincitori. Ma ciò, al di là di ogni considerazione giuridica ed etica, per rivelarsi assai miope in un meno breve periodo; e in particolare, per lItalia, contraddice il suo ruolo nel Sud Europa e nel Mediterraneo, come ponte e sponda per i popoli, le culture, le religioni del Sud del mondo, nei cui confronti è urgente approntare non un minaccioso e illusorio "modello di difesa", ma un modello di intesa, di cooperazione e di pacifica, interdipendente sicurezza.
Perciò noi pensiamo che come la penultima, così questultima guerra europea, sia nella pretesa di realizzare degli Stati monoetnici, degenerata negli orrori di repressione serba e della pulizia etnica, sia nella pretesa di contrastarli con i bombardamenti, divenuti essi stessi causa della distruzione di tutto ciò che si voleva tutelare, abbia mostrato lirrazionalità della guerra e delle politiche di guerra, di diseguaglianza e di dominio, e imponga che si riapra e intraprenda una tuttaltra strada. Tanto più che la conclusione della guerra, quando la Nato, per uscirne, ha dovuto negoziare con la Russia, tener conto delle posizioni europee e rimettere le cose nelle mani dellOnu, ha dimostrato che il disegno di onnipotenza non ha prevalso, e che la partita è tuttaltro che perduta.
La risposta non può essere dunque che quella di una grande ripresa della lotta per la democrazia e per il diritto. Ma come nel 1945 questa risposta fu universale, e poi nazionale, così anche oggi questa risposta non può che essere internazionale ed europea, perché è ormai su questo piano che si giocano le sorti della democrazia e del diritto, e solo se si salva e si costruisce la democrazia internazionale, se si rinnova e potenzia lOnu, se si dota lEuropa di una Costituzione non solo garante dei suoi cittadini, ma aperta ai nuovi popoli e garante per tutti, si può salvare e rilanciare la democrazia in ogni Paese.

Perciò lanciamo un triplice appello:
1.
Ai comitati contro la guerra o per la cessazione dei bombardamenti, ai cittadini, alle associazioni, ai movimenti, alle chiese, alle comunità, alle organizzazioni dei lavoratori, alle donne in nero, ai centri sociali che condividono questa urgenza, rivolgiamo linvito a costituire dei Comitati per la democrazia internazionale.
Come nel 1994 Giuseppe Dossetti lanciò la proposta della creazione in ogni regione, città, quartiere, luogo di lavoro, di Comitati per la Costituzione, così noi sentiamo ora lesigenza, per una necessità ancora più stringente e di ambito più adeguato, che sorgano ovunque Comitati per la democrazia internazionale, e che questi Comitati si raccordino e convergano in un Movimento per la democrazia internazionale che, facendo salve le specificità e lautonomia organizzativa di ciascuno, e senza caratteristiche di partito, agisca in forma e con impatto politico, e non solo culturale ed etico, per concorrere, col pensiero e con lazione, a instaurare "un ordinamento che promuova la giustizia e la pace tra le nazioni" e a salvare, come dice la Carta dellOnu, "le future generazioni dal flagello della guerra" che più volte e in più luoghi "nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni allumanità".
In tali Comitati e Movimento, guardando al futuro e non trattenute da esperienze già vissute e già giudicate, potrebbero naturalmente riconoscersi le grandi tradizioni dellinternazionalismo proletario, delluniversalismo cristiano e del cosmopolitismo borghese, e potrebbero ricercarsi forme di cooperazione e di scambio con analoghe iniziative in altri Paesi.

2. Alle maestre e ai maestri delle scuole elementari rivolgiamo linvito a sentirsi investiti del compito di educare alla pace e al diritto i bambini fin dalla più tenera età, nelle forme pedagogicamente più appropriate e in molte straordinarie esperienze italiane già con successo praticate.
Se la cultura e la coscienza della pace e del diritto non si radicano fin da bambini, e in bambini pienamente assunti come soggetti secondo una delle più felici acquisizioni dellordinamento internazionale postbellico, sarà difficile rintracciarle poi nei giovani, anche informatizzati, e nelle generazioni adulte, come si comincia a vedere.
Ma a tale compito, decisivo per il futuro della repubblica, i maestri devono prepararsi facendo essi stessi "movimento" tra loro, costituendosi in una grande comunità educativa, in rapporto con la società e le famiglie, nella quale scambiarsi nozioni ed esperienze e in cui far crescere la loro stessa statura di discepoli del diritto e della pace, perché nulla si può trasmettere che nello stesso tempo non sia imparato e fatto proprio. Questa stessa esigenza, e analoghe responsabilità, fanno appello a tutti gli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado.

3. Al movimento dei lavoratori, ai sindacati, chiediamo di riconoscere le nuove frontiere sulle quali si pone e si decide la stessa rivendicazione dei loro diritti. Non è per caso che la repubblica che ripudia la guerra è la stessa che si dichiara "fondata sul lavoro"; non è per caso che la Carta dellOnu che denuncia la guerra come flagello, fonda la sicurezza e la pace nel mondo sullaffermazione delleguaglianza dei diritti, sulla cooperazione internazionale per realizzare la piena occupazione e sulla promozione di un più alto tenore di vita e di condizioni di progresso e di sviluppo economico e sociale.
La devastazione della base materiale della vita ponti, fabbriche, centrali elettriche, acquedotti causata dalla guerra è la devastazione della vita stessa e la distruzione degli strumenti e delle fonti di lavoro, che è lopera della mente e delle mani delluomo, è la distruzione delluomo, non solo dei suoi mezzi di sussistenza; e con il lavoro è distrutta anche la potenzialità dei lavoratori ad organizzarsi e a partecipare effettivamente alla vita collettiva. Un sistema che rimetta la guerra al centro dei rapporti internazionali, come possibilità sempre pronta allesercizio, non potrebbe inoltre che riaprire la corsa agli armamenti, dirottare verso queste spese volumi crescenti di risorse, e indurre i perdenti di oggi a investire in armi più costose e potenti, per poter resistere domani o addirittura, a propria volta, prevalere. Latomica dei poveri ha purtroppo trovato, nella guerra balcanica, una convalida e un incentivo.
Il lavoro come fonte di diritti, la capacità di stabilire il nesso tra lavoro e diritti, il rapporto tra pace e lavoro appartengono alla grande tradizione della cultura operaia. E linternazionalismo, benché appannato, non solo non è superato, ma è diventato lorizzonte necessario di ogni cultura. Al movimento dei lavoratori, ai sindacati, si può chiedere di riprendere a dare nuovi sviluppo a tale cultura, e di metterla, come cultura non più di parte, al servizio delle culture di tutti, collocandosi al centro del grande dibattito pubblico che ha per oggetto il futuro comune. Sarebbe altrettanto importante che essi si assumessero come compito politico quello di preservare lidentità di tale cultura dalla omologazione alla cultura dominante veicolata dai mass media, anche attraverso la ricerca dei nuovi strumenti informativi e di comunicazione autonomi, ma non chiusi e corporativi.
Nel rivolgere questi appelli siamo consapevoli che il compito non è facile. Ma siamo anche convinti che esso corrisponde alle più alte conquiste del secolo che si chiude, e si pone in continuità con ciò che è stato sperato, preparato e voluto dalla grande maggioranza dei cittadini di questo Paese e dellintera umanità.

 

RANIERO LA VALLE, SERGIO GARAVINI, MIMMO GALLO, GIANNI FERRARA (Università La Sapienza), UMBERTO ALLEGRETTI (Università di Firenze), ANTONIO SANI, MARIO AGOSTINELLI, segretario generale Cgil della Lombardia, AMBRETTA RAMPELLI, TOMMASO FULFARO, ETTORE ZERBINO, NICOLA CIPOLLA (Cepes Palermo), ERCOLE ONGARO (Lodi), FRANCESCO COMINA (Bolzano), BRUNO RAVASIO, segretario Cgil della Brianza, GIUSEPPE VANACORE, segretario della Funzione pubblica regionale della Lombardia, TINO MAGNI, segretario Fiom regionale della Lombardia, GIORGIO CREMASCHI, segretario Fiom del Piemonte, DANIELE DUBINI (Ancona), P. MEO ELIA (Brescia), P. MARCELLO STORGATO, FRANCO LOMBARDI (Brescia), MASSIMO ROSSI, sindaco di Grottammare&

Per informazioni, adesioni, notizie sulla costituzione e lattività dei Comitati: "Pace e Diritti", via Acciaioli 7, 00186 Roma, tel. , tel. e fax , e-mail:

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