PER CAPIRE LA GLOBALIZZAZIONE

 

Interculturalitá e globalizzazione: 10 concetti chiave

1. Per una lettura "educativa" della globalizzazione

Non è la prima volta che una "parola" prende il sopravvento sulle altre e per qualche tempo sembra essere quella giusta, quella che racchiude in sé la magia di far comprendere unepoca. È il caso del termine "globalizzazione", che indica un fenomeno troppo importante per essere liquidato come la "moda" del momento. Al contrario: globalizzazione è una delle parole destinate a creare le connessioni interpretative più profonde (e di lunga durata) tra il presente e il futuro a livello planetario.
Tuttavia la globalizzazione si presenta oggi come un processo caratterizzato soprattutto da una forte ambiguità. Una lettura "educativa" di questo nuovo processo storico, economico e sociale riteniamo che non possa liquidarlo come un fatto tutto negativo o tutto positivo. Appare invece necessario e urgente impegnarsi in unoperazione di discernimento, di analisi critica, di vero e proprio "studio". Chiedersi, ad esempio, quali siano le cause e i fattori che hanno dato vita alla globalizzazione; così pure domandarsi quali siano i suoi effetti positivi e negativi; e ancora, verificare dove ci stia portando la globalizzazione e come si configurino gli scenari futuri; infine, sarebbe quanto mai "educativo" individuare le risorse umane e culturali che potrebbero aiutarci, in questa fase storica, a "resistere" alle tendenze omologatrici della globalizzazione e a promuovere un cammino planetario nuovo partendo dalle "alterità negate".

Due libri per cominciare:

  1. Villaggio globale. La vita ai tempi della globalizzazione, numero monografico di "Internazionale", 1996
  2. B. Amoruso, Della globalizzazione, La Meridiana, Molfetta 1996.

2. Il mercato globale

Il nostro è un tempo idolatrico. Non vè dubbio che una delle idolatrie più diffuse e pericolose sia quella del Mercato. Nel mondo di oggi leconomia appare dominata, pressoché esclusivamente, dalla logica della massimizzazione del profitto e da imprese economiche a carattere sempre più multinazionale che presentano una concentrazione di potere e di ricchezza superiore a molti Stati nazionali. Un dato eloquente: 358 supermiliardari del pianeta posseggono una ricchezza pari a circa la metà della popolazione mondiale. Siamo dunque dinanzi ad un processo di globalizzazione "a etica zero".
Alleconomia si riserva il posto di comando, in nome di un "realismo" e di un "pragmatismo" derivati dalla convinzione che il capitalismo non abbia alternative, essendo lo stato naturale della società. Il sistema economico mondiale dovrebbe pertanto sbarazzarsi di ogni vincolo sociale perché leconomia è sovrana e qualsiasi riferimento a regole extraeconomiche apparirebbe come un regresso. Ma dove ci sta portando questa razionalità economica del tutto sganciata da una razionalità etica?

Due libri per cominciare

  1. S. Zamagni (a cura), Globalizzare leconomia, ECP, Fiesole 1995
  2. S. Latouche (a cura), Leconomia svelata. Dal bilancio familiare alla globalizzazione, Dedalo, Bari 1997.

3. La comunicazione multimediale

La radio, la televisione, il computer, le reti telematiche e telefoniche, i satelliti e Internet ci hanno introdotto nella dimensione planetaria delle comunicazioni di massa. Viviamo in una società fin troppo "iconizzata" dove tutto si trasforma in spettacolo.
Si parla sempre più spesso di una società "virtuale" dove lesperienza diretta, il rapporto vitale con le cose, il contatto emozionale con le altre persone vengono messi in pericolo. Cè chi parla della "morte del reale" in una società dei simulacri dove trionfano le apparenze, le ombre, le maschere.
È necessario ricordare che il sistema dei media è, appunto, un "sistema", cioè un tessuto di relazioni, un organismo complesso, nel quale ogni singolo medium è in rapporto di complicità o di interdipendenza con gli altri media.
Leggiamo dal "Libro Bianco su Istruzione e formazione. Insegnare e apprendere, verso la società conoscitiva": "La mondializzazione degli scambi, la globalizzazione delle tecnologie, in particolare lavvento della società dellinformazione hanno aperto agli individui maggiori possibilità di accesso allinformazione e al sapere... la società del futuro sarà dunque una società conoscitiva".
Sarà importante, di qui in avanti, approfondire di più i rischi e le opportunità che si aprono dinanzi alle nuove generazioni che almeno nei paesi del Nord già vivono in quella che viene chiamata "società conoscitiva" dove bisogna acquisire le competenze per informarsi in "tempo reale" sui cambiamenti in atto nella società, altrimenti si è "out", si resta emarginati come analfabeti.

Due libri per cominciare

  1. IRRSAE Puglia, Leducazione interculturale, Curriculo dei media, Quaderno n.30, Bari 1996
  2. P. Levy, Lintelligenza collettiva. Per unantropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano 1996.

4. Il pensiero unico

Lidolatria del mercato e il sistema della comunicazione multimediale si stringono la mano in un abbraccio fatale, dando vita al pensiero unico che altro non è che la trasposizione in termini ideologici (che si pretendono universali) degli interessi di quelle forze economiche, che nel loro insieme, rappresentano il capitale internazionale.
A "fondamento" del pensiero unico cè appunto il primato delleconomia sulla politica. La diffusione della mega-macchina dellOccidente fa aumentare solo luniformità a scapito della creatività locale: lesito è il mimetismo, tragica caricatura delluniversalità.
Letnocidio, inteso come aggressione simbolica, genocidio culturale, si effettua ancor oggi, tramite il dono: è donando che loccidente acquista ulteriore potere e opera la destrutturazione culturale.
LOccidente continua a dare senza accettare nulla, e continua ad appropriarsi senza riconoscere alcun debito e non intende prender lezioni da nessuno.
Chi sa se, proprio in virtù delle loro specificità, le culture oggi negate e disprezzate non saranno, domani, le più adatte ad accettare le sfide della storia?

Due libri per cominciare

  1. VV., Il pensiero unico e i nuovi padroni del mondo, Ed. Strategia della Lumaca, Roma 1996
  2. S. Vandana, Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995.

5. Il Governo mondiale

Con la caduta del Muro di Berlino, il traguardo del Governo Mondiale sembrava essere dietro langolo, a portata di mano. Poi, il crac, il tracollo, la scomparsa del tema dallagenda internazionale. Che cosa è accaduto? Come mai dopo lubriacatura del "Villaggio globale", dell"arancia blù", del "piccolo pianeta", della "Terra-Patria", della "Interdipendenza"... lobiettivo del Governo Mondiale invece di decollare a livello politico è naufragato nel nulla?
Certamente non perché sia venuto meno il carattere mondiale delle "emergenze", che sono tutte lì, ieri come oggi: i flussi migratori, i conflitti regionali, le vecchie e nuove povertà, le ferite ambientali, le risorse energetiche, le armi nucleari, le ricerche biotecnologiche, il sistema dellinformazione, le condizioni igienico-sanitarie, lanalfabetismo, gli squilibri Nord-Sud e via elencando. Tutte le organizzazioni internazionali, politiche ed economiche, create fino ad oggi sono caratterizzate da un grave deficit democratico. Nel senso che sono malate di scarsa democrazia interna. LONU, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, il WTO (ex GATT) ecc.
Come dire: a livello internazionale la democrazia è ferita.
"Lepoca planetaria è già iniziata da un pezzo", ripete Edgard Morin, "ma la conoscenza delluomo è ancora alletà del ferro dellera planetaria".

Due libri per cominciare

  1. F. Lotti, N. Giandomenico (a cura), LONU dei Popoli, EGA, Torino 1996
  2. R. Sapienza, Un mondo da governare, SEI, Torino 1995.

6. Ripartire dalle "Alterità negate"

Ma forse il problema che più di tutti concentra su di sé il dibattito culturale contemporaneo è quello dellaltro. Tra i pensatori che criticano la tradizione occidentale per la rimozione e loblio dellalterità spicca il nome di Lévinas, che ha elaborato una concezione delluomo a partire dallaltro, dal Tu, dal volto.
Si tratta di comprendere, in maniera "etica" ma non moralistica, che laltro ci cambia, ci educa, ci interpella; ci costringe a prendere una posizione, a uscire dallindifferenza, a dare una "risposta" (respondere, da cui deriva il senso pieno e fondante di "responsabilità").
Ripartire dalle "Alterità negate" significa guardare altrove, saltare la siepe e lasciarsi contaminare. Tra le realtà che sono state fino ad oggi emarginate, fra le cosiddette "esternalità", cioè tra le "pietre scartate" (per dirla col Vangelo) è possibile trovare nuovi significati da cui partire per la ricostruzione di una Umanità Nuova.
Giovanni Paolo II, nel suo discorso allONU del 5 ottobre 1995, ha affermato che "ogni cultura ha diritto di essere rispettata perché costituisce un tentativo di riflessione sul mistero del mondo e in particolare delluomo: è un modo di dare espressione alla dimensione trascendente della vita". E precisa che estraniarsi dalla realtà della diversità o tentare di estinguerla "significa precludersi la possibilità di sondare il mistero della vita umana (...). La differenza, che alcuni trovano così minacciosa, può divenire, mediante un dialogo rispettoso, la fonte di una più profonda comprensione del mistero dellesistenza umana".

Due libri per cominciare

  1. C. Di Sante, Responsabilità. LIo per lAltro, Edizioni Lavoro, Roma 1996
  2. B. Borsato, Lalterità come etica. Una lettura di E. Lévinas, Dehoniane, Bologna 1995.

7. Il pensiero "al femminile"

La prima alterità negata, la prima risorsa di senso che il mondo ha a disposizione per poter sperare in una Umanità Nuova è il pensiero al femminile. Il problema dellauto-liberazione della donna chiama in causa inevitabilmente luniverso maschile. I valori della nuova cultura "al femminile" rappresentano una grande opportunità di cambiamento dellOrdine Simbolico globale del nostro sistema sociale.
La storia della nostra cultura occidentale (ma il discorso è transculturale) non lascia dubbi: al di là di rare accezioni, è una storia di sostanziale anti-femminismo: Atene, Gerusalemme e Roma appaiono alleate nel loro comune sguardo misogino. Come anche La Mecca e Benares. La nostra convinzione è che un nuovo umanesimo, una nuova paideia per il terzo millennio potrà affermarsi soltanto se gli educatori e le educatrici sapranno mettere in discussione, a partire da se stessi, lOrdine Simbolico Maschile e i parametri sociali che ne derivano. Le vere rivoluzioni sono infatti quelle che rinnovano i paradigmi fondamentali della cultura.

Due libri per cominciare

  1. C.O.N. Moser, Pianificazione di genere e di sviluppo, Rosenberg Sellier, Torino 1996
  2. S. Ulivieri, Educare al femminile, Edizioni ETS, Pisa 1995

8. Le culture locali tra omologazione e resistenza

Se guardiamo al rapporto tra lOccidente e le "altre" culture oggi nel mondo ci rendiamo conto che la situazione è fortemente squilibrata. Si può dire, in generale, che si sta affermando una nuova coscienza sulla necessità di salvare lintegrità della propria identità culturale, una sorta di contrappeso alle tendenze omologanti, e si avverte lesigenza di conoscere in modo profondo altre culture e di valorizzare le differenze in un ordine di reciprocità.
Ma il rapporto tra le culture non deve essere idealizzato perché si colloca sempre allinterno di un rapporto conflittuale di forza che finisce inevitabilmente per produrre "asimmetria" e "squilibrio".
Lo studio di Serge Latouche sui processi di "occidentalizzazione" diventa quanto mai interessante.
Laspetto unico, che definisce lOccidente è la sua cultura:

  • la credenza in un tempo lineare e cumulativo che riguarda tutta lumanità
  • lattribuzione alluomo della missione di dominare la natura
  • la credenza nella ragione calcolatrice delluomo per organizzare la sua azione, ecc.

Chi sono gli Altri?
Sono tutte le società dotate di un senso antico e tradizionale della vita e quindi di pratiche sociali di integrazione del "negativo", della morte, della miseria, della sofferenza. Queste resistenze "culturali" alla seduzione dellOccidente sono una fonte di speranza, perché lasciano intravedere che la crisi epocale dellOccidente non sarà necessariamente la fine del mondo...

Due libri per cominciare

  1. L. Bergnach, G. Delli Zotti, Etnie, confini, Europa, Angeli, Milano 1994
  2. V. Bernardi, Linsalatiera etnica, Ed. Neri Pozza, Padova 1992

9. Etiche della mondialità

Il nostro mondo sta sperimentando una crisi fondamentale: una crisi delleconomia mondiale, dellecologia mondiale e della politica mondiale. La mancanza duna visione completa, il groviglio di problemi non risolti, la paralisi politica, la mediocre leadership con poca capacità dintuire o di prevedere, e in generale un troppo scarso senso del bene comune si percepiscono ovunque. Troppe sono le vecchie risposte a sfide nuove.
Non esisterà alcun nuovo ordine mondiale senza una nuova etica mondiale!
Lesperienza storica dimostra che non si può migliorare la Terra se non otteniamo una trasformazione della coscienza degli individui e della vita pubblica.
Occorre una "svolta etica interculturale", un consenso etico delle culture per riorientare la convivenza mondiale. Senza una Carta fondamentale dei valori non è immaginabile la pacifica convivenza dei Popoli. Possono aiutarci le opere di autori come Jonas, Kung, Boff, Panikkar, Balducci, Morin, Apel, Moltmann, Ricoeur, Lévinas, e altri.
La nascita di una coscienza planetaria non si improvvisa. Ma nessun educatore che abbia il senso della storia potrà sottrarsi a questo compito essenziale e decisivo per il futuro dellumanità.

Due libri per cominciare

  1. AA. VV., Etiche della mondialità, Cittadella, Assisi 1996
  2. P. C. Bori, Per un consenso etico delle culture, Marietti, Genova 1991.

10. LOccidente come "siepe". Andare oltre

Nonostante tutto è possibile riscontrare segnali positivi anche allinterno di questa nostra società malata. Esistono infatti germi che ispirano fiducia e promettono speranza; si ascoltano voci di protesta, sorgono iniziative e movimenti civili e religiosi (ecologici, pacifisti, femministi, antirazzisti, spirituali, ecc..) che intendono battersi per rinnovare questa società, per dare corpo e vitalità ai grandi valori della vita, della comunità, dello spirito.
Vaclav Havel, Presidente della Repubblica Ceca, ha scritto: "Non possiamo aspettarci di raccogliere i fiori che non abbiamo mai piantato".
Ciò vuol dire che dobbiamo avere il coraggio di "osare", di avere fiducia e speranza almeno nel "piantare", nel gettare i semi nel cuore degli uomini e delle donne di questo mondo.
Dobbiamo saper camminare con piccoli passi ma avendo dinanzi a noi grandi orizzonti. Non è facile costruire insieme "una paideia" per il nuovo millennio, ma è certo che non potrà essere la stessa dei millenni precedenti o semplicemente degli ultimi decenni. Siamo veramente di fronte ad un passaggio depoca, ad un cambio di paradigmi.
Noi, almeno nei paesi occidentali, proveniamo da una tradizione filosofica e pedagogica molto ben radicata sul principio "conosci te stesso" (... tanto laltro è uguale a te, oppure è barbaro, pagano, infedele...). Insomma: se conosci te stesso (lidentità) hai conosciuto ciò che è essenziale. E questo basta. Ma che ne è di tale principio quando laltro è proprio diverso da me e io non riesco più a considerarlo un barbaro, un estraneo, né a restare indifferente di fronte a lui?
La svolta antropologica sta tutta qui. Andare oltre la "siepe" dellio, della propria cultura e aprirsi al mistero dellAltro.

Due libri per cominciare

  1. S. Latouche, Loccidentalizzazione del mondo, Bollati Boringhieri, Torino 1992
  2. O. Zanini, Significati del confine. I limiti naturali, storici, mentali, Mondadori, Milano 1997.

 Il mercato globale: 5 letture

1. Lettura "educativa" della globalizzazione

Nel numero programmatico abbiamo illustrato il cammino che percorreremo nellanno scolastico 1. Per ragioni di spazio, tuttavia, non è stato possibile sviluppare quasi niente del primo punto: la lettura "educativa" della globalizzazione. Proprio per questo, in questo numero, prima di passare al tema del "Mercato globale" (peraltro già studiatissimo) ci soffermiamo brevemente sulla lettura "educativa", cioè sullimportanza di non demonizzare la globalizzazione, di non cadere nel manicheismo, ma di aiutarci anzitutto a conoscere, a comprendere, a operare un discernimento, unanalisi critica in vista di una valutazione non solo economica ma anche etica e non antropologica. Questo contributo va ricollegato con larticolo "Interculturalità ed economia" che è stato pubblicato su CEM Mondialità del novembre 1996. Invitiamo allora ogni educatore a rispondere alla seguente domanda, integrando, emendando, correggendo ciò che noi stessi suggeriamo in partenza: quali sono gli aspetti positivi e negativi della globalizzazione?

GLOBALIZZAZIONE

Aspetti positivi

Aspetti negativi

Apertura a tutto campo

Concentrazione del potere

Sprovincializzazione

Tendenze alla omologazione

culturale

Policentrismo

Rischio del pensiero unico

Scambio planetario

Monopolio della comunicazione

Domanda di Governo Mondiale

Globalizzazione selvaggia a eti-ca zero

Mobilità umana

Sradicamento culturale, perdita dellidentità

Riduzione del principio di so-vranità economica dello stato-nazione

Idolatria del mercato e darwi-nismo sociale

Riscoperta del valore delle culture

Evaporazione del territorio, de-

localizzazione della produzione

Attaccamento alla memoria e allidentità

Aumento delle patologie della insicurezza (stress, bisogno di certezze, fondamentalismo, new age...)

.........

.....

 Sempre dal punto di vista di una lettura educativa, sembra a noi importante mettere in risalto che la globalizzazione non è solo un fatto quantitativo cumulativo, moltiplicativo, espansivo (aumento degli scambi commerciali, aumento delle informazioni, ecc.) ma è soprattutto un fatto qualitativo, interattivo, sistematico, reticolare... e proprio per questo tende a espandersi, a dislocarsi, a trovare nuove connessioni, nuove compenetrazioni, ad "agglutinare" in modo reticolare più che sommativo.
Anche una considerazione interessante sul piano educativo è quella riguardante le "Azioni di replicazione" da parte degli stessi educatori. Anzi, forse è proprio questo il problema cruciale per gli educatori: i modi ordinari con cui le persone riproducono nella quotidianità i modelli culturali della globalizzazione nel momento stesso in cui credono di combatterla!

2. Il mercato globale

Affrontiamo ora il problema del Mercato globale dando la parola a cinque economisti che, da angolature diverse, ci aiutano a comprendere la questione.

a) Peter Dicken: la globalizzazione non è una semplice internazionalizzazione delleconomia

"Questi due termini vengono spesso adoperati come se fossero intercambiabili pur non essendo sinonimi. Internazionalizzazione indica semplicemente la crescente espansione geografica di attività economiche attraverso le frontiere nazionali e in quanto tale essa non è un fenomeno affatto nuovo. La globalizzazione delle attività economiche è invece qualitativamente differente. Essa costituisce una forma più avanzata e complessa di internazionalizzazione, che implica un grado dintegrazione funzionale tra attività economiche dislocate a livello internazionale. La globalizzazione è un fenomeno molto più recente dellinternazionalizzazione; tuttavia sta emergendo come norma in una gamma crescente di attività economiche".

(Cfr. Tony Spybey, Globalizzazione e società mondiale, Asterios Editore, Trieste 1997, p. 93)

b) H.P. Martin - H. Schumann: La "trappola" della globalizzazione e la società "20:80".

Dalla lettura del libro-provocazione di questi due autori veniamo in possesso di informazioni che aumentano i nostri sospetti sulla globalizzazione. Alla fine del settembre 1995, a San Francisco, si riunirono 500 fra statisti, presidenti di multinazionali e scienziati di spicco, per discutere, in assise segreta, le previsioni del XXI secolo. Il futuro venne abbozzato in una coppia di numeri "20:80" ed in un termine tecnico "tittytainment". La coppia di numeri starebbe ad indicare che, nel prossimo secolo, solo il "20" per cento della popolazione mondiale (di tale percentuale farebbero parte uomini di diverse aree geografiche) sarebbe in grado di far funzionare la grande macchina delleconomia mondiale; mentre l"80" per cento si riferirebbe alla massa di disoccupati o comunque di emarginati in ricerca attiva di lavoro. Questi, secondo lo statunitense Jeremy Rifkin, autore del libro "La fine del lavoro", avranno enormi problemi; in futuro, per loro, si tratterà "to have lunch or be lunch": "di mangiare o di essere mangiati".
Ecco, allora, la nascita del termine "tittytainment", coniato dal polacco Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza di Jimmy Carter. Il vocabolo è un incrocio tra "entertainment" e "tits": in pratica, scaturisce dalla combinazione tra un intrattenimento, atto ad intontire le masse a tale scopo verrebbero impiegate le produzioni a basso costo e, a volte, di infimo livello culturale dei più svariati mezzi di comunicazione di massa e "tits" che, nello slang americano, allude alla "nutrizione" dei disoccupati al "seno" dei pochi privilegiati che producono. Lo scenario inquietante, preannunciato per il XXI secolo, già ora rivelerebbe i suoi inequivocabili segni che vengono acutamente descritti da Hans-Peter Martin ed Harold Schumann.
Così scrivono:
"Linternazionalismo inventato dai capi operai socialdemocratici per lottare contro i capitalisti guerrafondai è da tempo passato sullaltro fronte. Oltre 40.000 imprese transnazionali grandi e meno grandi si servono di stati contro altri stati e di lavoratori dipendenti contro altri lavoratori dipendenti. [ ...]
Con un solo movimento delle sue tenaglie "globali" la nuova internazionale del capitale scardina interi Stati e il loro ordinamento sociale".
(La trappola della globalizzazione. Lattacco alla democrazia e al benessere, Edition Raetia, Bolzano 1997, p.14)

b) Susan George: il fine del mercato non è la giustizia

"Alla radice di tutti questi problemi vi è il mercato. Non certo il mercatino rionale, quello dove andiamo a comprare i pomodori, ma il mercato mondiale che è diventato "la misura di tutte le cose" nella sua quadruplice espressione di mercato di beni e servizi, mercato del lavoro, mercato della natura (ambiente), mercato finanziario.
Questi diversi mercati sono integrati fra di loro e si dà per scontato che si auto-regolino. In realtà, il mercato è la famosa mano invisibile che è capace di regolare tutto se noi lasciamo che lo faccia. Se siamo pigri e lasciamo al mercato lorganizzazione della società, il mercato la organizza, ma dobbiamo sapere che le sue scelte non sono scelte sociali e che il risultato sarà un aumento del numero degli esclusi, dei disoccupati. Non è un giudizio morale, ma una semplice constatazione. Non ci si può aspettare giustizia e scelte sociali dal mercato. Il mercato ascolta la voce di chi ha soldi e non di chi non ne ha. La funzione del mercato non è quella di fornire lavoro, occupazione. Il suo obiettivo è quello di produrre realizzando il maggior profitto possibile, la maggior accumulazione di ricchezza. Il mercato deve produrre per chi ha soldi e ridurre al minimo i costi, per massimizzare i profitti.
Un esempio grottesco. Nel mondo vi sono oggi 358 miliardari in dollari. Lammontare del loro patrimonio è di 760 miliardi di dollari, equivalente alla parte di prodotto nazionale lordo di due miliardi di persone nel Terzo Mondo. Questo può dare unidea dello squilibrio esistente oggi nel mondo. Da una parte, un piccolo numero di miliardari, e dallaltra, due miliardi di persone. Ma è una cosa assolutamente naturale, perché il mercato dà a chi ha già".
(Crf. Susan George, La supremazia delle scelte economiche e lacuirsi degli squilibri sociali in A.A.V.V., Il futuro che ci unisce, EMI, Bologna 1996, p. 23)

d) Serge Latouche: i nove paradossi delleconomia

Più limmaginario del mercato si estende allintero pianeta, più la discordia, la miseria e lesclusione sembrano guadagnare terreno. Forte contraddizione di un modello astratto, messo in crisi dalla complessità dolorosa della vita (...).

Così, almeno per quanto riguarda leconomia, si possono rilevare nove paradossi:

  1. Pure se conosciuta bene da tutti per necessità, leconomia rimane molto misteriosa e incomprensibile alla maggioranza.
  2. È pratica quotidiana della modernità, ma è anche una disciplina teorica con pretesa di scientificità.
  3. Questa disciplina, definita economia politica, certamente è la più scientifica delle scienze umane ma, nello stesso tempo, la meno umana delle discipline sociali.
  4. Gli economisti sono diventati degli esperti indispensabili, ma la loro fama è inversamente proporzionale alla loro capacità di fornire diagnosi esatte e soluzioni soddisfacenti.
  5. Nonostante la sua ossessione nel valutare ogni cosa, leconomia ignora pezzi interi della realtà materiale, che si tratti della natura o della vita domestica.
  6. A dispetto della sua pretesa di universalismo, leconomia finisce per essere, come pratica e teoria, molto provinciale, quella di un certo Occidente.
  7. A rendere ancora più grave la sua posizione, leconomia, che si vuole neutrale, pura e sana, finisce per essere una perversione con forti sospetti sessisti.
  8. È talmente labile il suo rapporto con la morale, che pensa di farne a meno e pretende di sostituirsi ad essa.
  9. Infine, vive anche molto male il suo rapporto con la Storia.

(Cfr. S. Latouche, Leconomia svelata. Dal bilancio familiare alla globalizzazione, Dedalo, Bari 1997, pp.11-12)

e) Riccardo Petrella: Il "bluff" della globalizzazione. In realtà siamo di fronte alla "triadizzazione" mondiale delleconomia.

"La mondializzazione delleconomia attuale è tronca perché essa non comporta delle visioni di sviluppo, delle strategie di investimento, e delle azioni concrete sul terreno della valorizzazione delle risorse, pensate e realizzate nellinteresse della popolazione mondiale. La carta del mondo mentalmente e culturalmente concepita e vista dalla popolazione e dai dirigenti dei paesi ricchi del Nord Giapponesi, Nord Americani, Europei occidentali , così come dalle classi ricche dei paesi poveri del Sud, è una carta deformata. Essi hanno limpressione e sono convinti che il mondo è sempre più piccolo ed unificato attorno al polo dei paesi dei luoghi ricchi; pensano che il mondo che conta sul piano economico, politico e culturale sia costituito dalla triade America del Nord, Europa Occidentale, Giappone e i "piccoli draghi" del Sud-Est asiatico. Per essi il maggiore problema mondiale dei prossimi ventanni è di sapere chi delle tre regioni sarà nel 2005 o nel 2010 la potenza leader tecnologica ed economica mondiale. Saremo noi nuovamente gli Europei se, come si afferma, faremo fronte unito in quanto Unione Europa, o gli Americani riconquisteranno in tutti i settori la leadership che hanno perso in certi settori in favore dei Giapponesi, o saranno questi ultimi ad affermarsi definitivamente come la potenza mondiale n.1? Il culto della competitività rende tutto il resto semplice agitazione di periferia. Piuttosto che di vera mondializzazione è più corretto parlare, per il momento, di triadizzazione mondiale delleconomia. Le conseguenze della congiunzione tra valorizzazione predominante delle tecnologie e mondializzazione triadica delleconomia sotto il dominio e il governo di un soggetto privato limpresa sono notevoli e molteplici. Ne discendono tre aspetti che stanno plasmando il corso della storia:

  • le popolazioni del Nord e delle sacche di ricchezza del Sud vivono in una logica della sopravvivenza in un contesto, considerato inevitabile, di guerra economica planetaria;
  • assistiamo ad una nuova alleanza tra impresa e stato che si traduce, fra laltro, nel farsi carico da parte dellimpresa, al posto dello stato, della definizione dellinteresse pubblico generale;
  • è in corso lo smantellamento del contratto sociale che è stato alla base dello sviluppo economico, politico e culturale delle società occidentali, ed assistiamo allemergenza generalizzata dellesclusione sociale su scala mondiale."

(Cfr. R. Petrella, Leconomia attuale: una logica di guerra e di esclusione, in Zamagni S. (a cura), Globalizzare leconomia, Ecp, Fiesole, 1995, p.120)

Dieci libri per lapprofondimento

  1. Amoroso, Della Globalizzazione, La Meridiana, Molfetta 1996
  2. H. Assman, F.J. Hinkeylammert, Idolatria del mercato. Saggio su economia e teologia, Cittadella, Assisi 1993
  3. Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Geografia del supermercato mondiale, EMI, Bologna 1996
  4. G. Corm, Il nuovo disordine economico mondiale, Bollati-Boringhieri, Torino 1994
  5. M. Featherstone (a cura di), Cultura globale: nazionalismo, globalizzazione e modernità, Seam, Roma 1996
  6. P. Hirst, G. Thompson, La globalizzazione delleconomia, Editori Riuniti, Roma 1997
  7. H. P. Martin, H. Schuman, La trappola della globalizzazione. Lattacco alla democrazia e al benessere, Edition Raetia, Bolzano 1997
  8. J. Naisbitt, Il paradosso globale: più cresce leconomia mondiale, più i piccoli diventano protagonisti, Franco Angeli, Milano 1996
  9. T. Spybey, Globalizzazione e società mondiale, Asterios Editore, Trieste 1997
  10. S. Zamagni (a cura), Globalizzare leconomia, ECP, Fiesole 1995

Etiche della mondialitá: 5 proposte

 a cura di Antonio Nanni e Claudio Economi

 Il vero dramma sta proprio qui: leconomia si è globalizzata; la comunicazione si è globalizzata; ma non si sono ancora globalizzate né la politica, né letica, né leducazione. Presentiamo qui di seguito alcuni interessanti tentativi per lelaborazione di unetica mondiale. Il libro di riferimento è quello curato da Roberto Mancini e intitolato appunto "Etiche della mondialità" (Cittadella, Assisi 1996). Ma non solo. Per ragioni di spazio ci limitiamo a richiamere lattenzione su 5 autori e un importante documento del "Parlamento delle religioni mondiali". 

  1. Hans Jonas: Solo unetica del limite ci potrà salvare.

    Lopera di Jonas, filosofo tedesco di origine ebraica scomparso nel 1993, costituisce un punto di vista obbligato per la ricerca consapevole di una macro-etica dellumanità.Il suo contributo, espresso dal libro "Il principio di responsabilità" del 1979, deriva, essenzialmente, dalla ridefinizione del rapporto tra ontologia ed etica. Occorre dunque una riflessione filosofica originale che si confronti con le nuove condizioni e con i nuovi problemi posti dal potere della tecnologia.
    Una nuova etica, dunque, assai diversa da quella sviluppatasi fino ad oggi e che è stata essenzialmente antropocentrica. Essa aveva a che fare con "il qui e lora", con il breve termine e con gli spazi immediatamente vicini. Tutto questo scrive Jonas deve mutare. La tecnica moderna "ha introdotto azioni, oggetti e conseguenze di dimensioni così nuove che lambito delletica tradizionale non è più in grado di abbracciarli.
    Oggi si impone alletica una nuova dimensione della responsabilità, mai prima immaginata.
    Letica tradizionale si rivela oggi debole. Incapace di guardare al futuro. Lo trascura. Lo rimuove il futuro come categoria lontana, verso il quale non si hanno doveri. Letica odierna si è concentrata "sulla qualità morale dellatto momentaneo stesso". Letica nuova deve invece saper guardare lontano, sapendo costruire il limite non è un paradosso allagire di oggi.
    Se è cambiato il potere delluomo deve cambiare il modo di concepire letica.
    Oggi la tecnica domina il mondo; si è trasformata "in un illimitato impulso progressivo della specie, nella sua impresa più significativa, il cui incessante superarsi e avanzare verso mete sempre più elevate si è tentati di ravvisare come vocazione delluomo e il cui traguardo di dominio sulle cose e sulluomo stesso appare come ladempimento della sua destinazione".
    Oggi, "un oggetto di ordine completamente nuovo, nientemeno che lintera biosfera del pianeta, è stato aggiunto al novero delle cose per cui dobbiamo essere responsabili, in quanto su di esso abbiamo potere". Dunque luomo e la tecnica sono sul banco degli accusati. E luomo è insieme giudice e accusato. Letica mette ordine alle azioni degli uomini e regola il potere di agire; tanto più è necessaria quanto più grandi sono le forze dellagire che essa deve regolare. La paura e la minaccia possono favorire la ricerca di questa nuova etica.
    Questa nuova etica è qualcosa di vicino alla responsabilità dei genitori verso i figli. Il futuro dellumanità costituisce così il primo dovere di ogni comportamento collettivo. Ma in esso è evidentemente e necessariamente incluso, scrive Jonas, "il futuro della natura in quanto condizione sine-qua-non" e la responsabilità nei suoi confronti. Il nuovo dovere, la nuova responsabilità, spingono dunque necessariamente "verso unetica della conservazione, della salvaguardia, della prevenzione e non del progresso e della perfezione". Si torna così al concetto di limite, di confine da non superare; alla necessità di rallentare, cercando più equilibrio invece che più crescita, più qualità al posto di più quantità. Oggi occorre lasciare aperta la porta alla "possibilità" del domani. Ed uscire dal vicolo cieco o dallimbuto della crescita per la crescita.

  2. Raimundo Panikkar: Non unetica globale ma unetica "condivisa".
    Non unetica "globale", che sarebbe una sorta di tentazione neocolonialista, ma unetica dialogica, condivisa, contemplativa, frutto di un disarmo culturale dellOccidente e dellincontro con le culture e le fedi religiose "altre". È questa, in sintesi, la proposta di Raimundo Panikkar, teologo e filosofo per metà spagnolo e per metà indiano, da anni impegnato nel confronto interreligioso.
    Ecco alcuni passaggi tratti da una sua relazione intitolata "Dalletica globale alletica condivisa" (Testo integrale riportato da "Adista" 26 febbraio 1994).
    "La mia tesi si potrebbe così riassumere: non cè unetica globale. E il suo corollario è che non ci può essere, perché se ci fosse ridurrebbe gli uomini ad una uniformità totale, e letica ad unetica di deduzione dei principi. Letica, invece, è qualcosa di vissuto e non soltanto frutto di una deduzione di principi. Non si può attuare eticamente costruendo sillogismi e traendone conseguenze. Letica è una spinta personale, che viene più dal cuore che dalla mente. Non è soltanto una deduzione ragionevole di principi sublimi.
    Trovare una struttura formale o comune per fondare unetica è impossibile. Tutti siamo daccordo che si deve fare il bene: il problema comincia quando si vuol delimitare cosa è il bene e cosa è il male.
    Unetica unica, in un mondo multiculturale e multietnico, implicherebbe che letica in quanto tale è sovra-culturale, e sovra-religiosa, mentre il fondamento che ogni cultura ed ogni religione pongono alle rispettive etiche è diverso. Per alcune culture le differenze tra quelli che noi chiamiamo uomini e gli altri animali non sono così essenziali. Ragione per cui unetica mondiale dovrebbe essere al di sopra di qualsiasi altro fondamento etico che hanno le diverse culture e le diverse religioni.
    Ma ciò coincide con il colonialismo che è, appunto, la credenza secondo cui è possibile avere, con parametri sufficientemente depurati e cesellati, una percezione e una soluzione a tutti i problemi dellumanità. Dopo le lusinghe coloniali occorre passare al disarmo di una siffatta cultura che si autoproclama universale e che pretende anche di fondare unetica universale.
    Lunica forma di etica che abbia qualche forza, oggi, devessere unetica interculturale. Limperativo è pragmatico, perché non è fondato su un "a priori", ma semplicemente sul fatto che se non ci fosse unetica alternativa per il mondo attuale si andrebbe alla mutua distruzione dellumanità, allo sterminio tra gli uomini e ai disastri ecologici.
    Non ci facciamo illusioni: il mondo, anche politicamente parlando, non tollererà più per molto tempo queste ingiustizie istituzionalizzate: e se uno dovrà far ricorso allincendio dei pozzi di petrolio o al ricatto atomico, lo farà. Quindi limperativo è pragmatico, perché lalternativa è la distruzione. Non è limperativo a priori: "perché così deve essere". Letica non può essere globale: ma deve essere oggi unetica accettata nel mondo attuale e si costituisce soltanto o si scopre nel dialogo interculturale.
    E qui ritengo utile tratteggiare un decalogo delletica del dialogo.
    Primo: laltro esiste "per" ciascuno di noi. E laltro è il musulmano, laltro è lemarginato, laltro è il marito, laltro è il bambino, il mondo ecc. Una specie di superamento inconscio del solipsismo.
    Secondo: laltro esiste come soggetto e non soltanto come oggetto. Esiste a sé stante e non mi ha chiesto il permesso di esistere. Neanche la pietra, gli alberi, gli animali. In altre parole: non si possono trasformare le pietre in pane.
    Terzo: laltro non è oggetto di conquista, di conversione, di studi: è (s)oggetto con diritti propri, con lo stesso diritto di interpellarmi, di interrogarmi, che ho io. La relazione è, quindi, biunivoca: il dialogo è dialogo perché non è monologo. Non è soltanto domandare, ma lasciarsi anche interpellare. Per questo cè una necessità di ascolto, di umiltà, di uguaglianza.
    Quarto: anche se io penso che laltro (e laltro può essere un sistema religioso o culturale) sbaglia, devo entrare in contatto con lui, altrimenti non cè dialogo e senza dialogo non cè pace.
    Quinto: la disposizione a dialogare è il principio etico supremo. Se ci si nega al dialogo, si finisce con il divorzio, con la guerra, con la bancarotta, con il disastro.
    Sesto: il dialogo deve essere totale. Come dicono gli inglesi: non cè niente di "non-negocial". Tutto deve essere messo sul tappeto, altrimenti non è dialogo dialogale, non è dialogo umano, è dialogo diplomatico. Si mira a vincere.
    Settimo: letica è collegata al politico, dipende dal religioso ed è frutto di una cultura.
    Tutto ciò relativizza letica, ma la rende concreta ed efficace.
    Ottavo: letica scaturisce dal dialogo religioso e allo stesso tempo ne è la sua causa. È un circolo vitale come tutte le cose ultime.
    Nono: nessuno ha il diritto di promulgare unetica. Letica non si promulga. Si scopre. E si scopre nel dialogo.
    Inoltre in un contesto mondiale qual è quello di oggi a nessuno viene riconosciuto il diritto di promulgare unetica universale ed assoluta.
    Decimo: letica contemporanea deve confrontarsi con un "novum" che non si era mai verificato nella storia: il "novum" di tanta gente che muore di fame, di sete, di stenti, di violenza. E che attende una redenzione concreta: non annuncio di principî etici, ma un comportamento operativamente salvifico, purificato di ogni pretesa messianica".
  3. Edgar Morin: Abitare la terra come patria
    Edgar Morin propone unimpostazione proceduralista, cioè una prospettiva concentrata sulla possibilità di una svolta antropologico-politica.
    Infatti, sin dagli anni sessanta, la sua riflessione si è incentrata sulla produzione di saggi dedicati al metodo della conoscenza, al pensiero della complessità e alle sue implicazioni antropologiche. In sostanza Morin ha inteso superare il mito della chiarificazione e dunque della semplificazione totale delluniverso abbracciando invece la coscienza della sua multidimensionalità.
    Nel libro "Terra-Patria", scritto insieme a Brigitte Kern e pubblicato in Francia nel 1993, il filosofo sostiene che non si può pretendere di concepire il globale attraverso un sapere specialistico e settorializzato, che avrebbe lo scopo di semplificare luniverso tenendolo perciò sotto controllo, ma invece attraverso una rivoluzione culturale che conduca dal pensiero del semplice al pensiero del complesso.
    "Più i problemi diventano multidimensionali, più cè incapacità di pensare la crisi, più progredisce lincapacità di pensare la crisi; più i problemi diventano planetari, più diventano impensati. Invece di considerare il contesto e il complesso planetario, lintelligenza cieca rende incoscienti e irresponsabili".
    In altri termini, letica di una "Terra come patria", unica e comune, non si fonda sulla razionalizzazione, che è "cieca" e rende impossibile comprendere i problemi attuali; pertanto più aumenta il modello razionalizzatore, oggi prevalente, più, paradossalmente, aumenta lincoscienza, cioè lincapacità di cogliere il contesto planetario in tutte le sue urgenti problematiche. In sintesi: "La razionalità autentica deve avere infatti le caratteristiche dellapertura e della dialogicità. Deve inoltre saper comprendere la sfera dellaffettività e dellirrazionalità, divenendo consapevole del grado di incertezza presente in ogni sua analisi e mantenendosi aperta al mistero della vita: il fine della conoscenza è quello di partecipare a un dialogo con luniverso".
    In tale prospettiva, secondo Morin, lEuropa dovrebbe liberarsi di qualsiasi pretesa egemonica e portare il suo contributo di democrazia politica alla nascita di una nuova mondialità
    In sintesi il sociologo ravvisa nellepoca della complessità lopportunità di uninedita pienezza umana in quanto solo ora siamo in grado di cogliere la ricchezza del reale, la natura dialogica della relazione uomo-mondo, il pluralismo delle interpretazioni, inteso come espressione di maturità.
    In ciò è lunica salvezza che è data alluomo, il quale, anziché nellimmortalità, è chiamato a sperare e a lottare per un mondo migliore, qui, su questa terra: "Dobbiamo coltivare il nostro giardino terrestre, il che vuol dire civilizzare la terra. Il vangelo degli uomini perduti della Terra-Patria ci dice: dobbiamo essere fratelli, non perché saremo salvati, ma perché siamo perduti".
  4. Emmanuel Lévinas: Letica del volto. Mai senza laltro
    La proposta di E. Lévinas, filosofo ebraico scomparso nel 1995, pone in evidenza come letica non possa essere fondata, in quanto essa avrebbe in sé il fondamento della stessa esperienza umana: dellessere, dellagire, del sapere.
    Il filosofo, denunciando lidea dellecologia e della totalità, ha posto in risalto i loro esatti contrari: lalterità della proprietà del "TU" e linfinito.
    Lévinas tenta di individuare una nuova fonte di senso che, non solo trascenda ogni totalizzazione, ma emerga soprattutto per lappello etico che proviene dal primato assoluto dellaltro, dal suo "volto".
    A tal riguardo, così, si esprime: "Ogni relazione sociale, al pari di una derivata, risale alla presentazione dellAltro a Medesimo, senza nessuna mediazione di immagini o di segni, ma grazie alla sola espressione del volto [&]. Il fatto che tutti gli uomini siano fratelli non è spiegato dalla loro somiglianza né da una causa comune di cui sarebbe leffetto come succede per le medaglie che rinviano allo stesso che le ha battute [&]. Il fatto originario della fraternità è costituito dalla mia responsabilità di fronte a un volto che mi guarda come assolutamente estraneo e lepifania del volto coincide con questi due momenti".
    Il volto per Lévinas è appello, domanda, enigma ma soprattutto visitazione. Lirruzione del volto dellaltro sconvolge legoismo dellio. Come spiega Emilio Baccarini:
    "Lio perde la sua sovrana coincidenza con sé, la sua identificazione in cui la coscienza ritorna trionfalmente a sé per appagarsi di se stessa. Dinanzi allesigenza di altri, lio viene espulso da questo riposo, senza identificarsi con la coscienza che già si vanta in questo esilio".
    La parola "io" significa "eccomi", rispondente di tutto e di tutti& La responsabilità dellio per ciò che lio non aveva voluto, cioè per gli altri".
    Per Lévinas "etica" non è un atteggiamento morale (volontario) del soggetto, ma la struttura originaria, metafisica: lio, il soggetto nasce strutturato "lun per laltro". Lio è capace per-laltro, in quanto è luno per laltro, in quanto è già, fin dallinizio, implicato in un rapporto etico.
    "Letica, al di là della visione e della certezza, delinea la struttura dellesteriorità come tale. La morale non è un ramo della filosofia, ma la filosofia prima".

  5. Giuliano Pontara: etica e generazioni future. Tre esempi per capire
    Veramente le nostre azioni hanno il potere di condizionare la vita di chi verrà dopo di noi? Ecco la risposta di Giuliano Pontara, docente presso lUniversità di Stoccolma, nel suo libro "Etica e generazioni future" (Laterza, Roma-Bari 1995).
    "Vediamo alcuni esempi di azioni che hanno avuto un impatto estremamente negativo su generazioni successive.
    Si prenda, come primo esempio, il graduale e sempre più intenso disboscamento che nel corso dei secoli si è verificato nellItalia centro-meridionale. È opinione largamente condivisa che esso abbia avuto come conseguenza vasti fenomeni di erosione, inondazioni, impaludimento delle zone costiere, fenomeni i quali, a loro volta, hanno influito in modo sempre più negativo sulla salute ed il tenore di vita di vaste masse di popolazione appartenenti a molte generazioni.
    Un altro, più vistoso esempio, è la politica coloniale dei paesi occidentali dal 500 in poi: tra le sue conseguenze più funeste sono generalmente annoverate la distruzione di grandi culture, lintroduzione dello schiavismo su vasta scala e con ciò, di nuovo, conseguenze estremamente negative per masse di persone appartenenti ad un gran numero di generazioni.
    Un ulteriore, più recente, esempio è quello costituito dalle esplosioni nucleari sperimentali, susseguitesi dal 44 in poi: quantunque le stime dei danni da esse prodotte varino, gli scienziati competenti sono generalmente daccordo che esse hanno causato un aumento di cancro e di danni genetici che si protrarrà per diverse generazioni a venire. E, secondo recenti stime della World Health Organization, l"incidente" di Cernobyl, nel 1986, sta causando e continuerà a causare tra i bambini dellUcraina e della Bielorussia un forte aumento di cancro alla tiroide".
  6. Il punto centrale è la trasformazione della coscienza umana.
    Il 4 settembre 1993 a Chicago, al termine dellincontro del "Parlamento delle Religioni Mondiali" Circa 250 leader religiosi di ogni parte del mondo hanno approvato una dichiarazione intitolata "Verso unetica globale". Il documento, elaborato in buona parte da Hans Küng e poi sottoscritto, tra gli altri, dal card. Joseph Bernardin di Chicago, dal Dalai Lama e dai rappresentanti del Consiglio Ecumenico delle Chiese di Ginevra, vuole essere un "punto di inizio" nella ricerca di unetica interreligiosa comune. Riprendiamo la parte conclusiva del documento.
    "Lesperienza storica dimostra questo: la Terra non può essere cambiata in meglio se non perseguiamo una trasformazione nella coscienza degli individui e nella vita pubblica. Le possibilità di trasformazione sono state già intraviste in ambiti come quello della guerra e della pace, delleconomia, dellecologia, in cui negli ultimi decenni si sono avuti cambiamenti fondamentali. Questa trasformazione deve essere ancora conseguita nel campo delletica e dei valori!
    Ciascun individuo ha una dignità intrinseca e dei diritti inalienabili, e ciascuno ha anche una ineluttabile responsabilità per ciò che lei o lui fanno o non fanno. Tutte le nostre decisioni e le nostre azioni, persino le nostre omissioni ed i nostri errori, hanno delle conseguenze.
    Mantenere vivo questo senso di responsabilità, approfondirlo e trasmetterlo alle future generazioni è il compito speciale delle religioni.
    Noi siamo realisti su ciò che abbiamo raggiunto in questo consenso, e perciò esortiamo a che si tenga presente quanto segue:
  1. Un consenso universale su alcune questioni etiche discusse (dalla bioetica e dalletica sessuale, attraverso i mass-media e letica scientifica alletica economica e politica) sarà difficile da raggiungere. Tuttavia, persino per alcune questioni controverse occorre raggiungere soluzioni appropriate nello spirito dei principi fondamentali che noi qui abbiamo congiuntamente sviluppato.
  2. In diversi campi della vita una nuova coscienza di responsabilità etica è già emersa. Perciò ci piacerebbe se più professioni possibili, come quelle dei fisici, degli scienziati, degli uomini daffari, dei giornalisti e politici, volessero sviluppare un aggiornamento dei codici deontologici che possono fornire specifiche linee guida per le questioni oggetto di dibattito, in riferimento a queste particolari professioni.
  3. Soprattutto, esortiamo le varie comunità di fede a formulare le loro etiche veramente specifiche. Che cosa ciascuna tradizione ha da dire, per esempio, sul significato della vita e della morte, sulla sopportazione della sofferenza, sul perdono della colpa, sul sacrificio altruistico e sulla necessità della rinuncia, sulla compassione e la gioia. Queste approfondiranno e renderanno più specifica letica globale che già viene individuata.

In conclusione, facciamo appello a tutti gli abitanti di questo pianeta. La Terra non può essere cambiata in meglio se non cambia la coscienza degli individui. Noi ci impegniamo a lavorare per una tale trasformazione nella coscienza individuale e collettiva, per il risveglio della nostra forza spirituale attraverso la riflessione, la meditazione, la preghiera o il pensiero positivo per una conversione del cuore. Insieme possiamo smuovere le montagne! Senza una volontà di assumere dei rischi ed una disponibilità al sacrificio, non ci può essere nessun fondamentale cambiamento nella nostra situazione! Ci impegniamo quindi per unetica globale comune, per una migliore comprensione reciproca, così come anche per modi di vivere socialmente buoni, promotori di pace e rispettosi della Terra.
Invitiamo tutti gli uomini e le donne, credenti e non credenti a fare la stessa cosa".

Tredici libri per lapprofondimento

  1. Apel K.O., Etica della comunicazione, Jaca Book, Milano 1992
  2. Bori P.C., Per un consenso etico delle culture, Marietti, Genova 1991
  3. Jonas H., Il principio di responsabilità. Unetica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino 1993
  4. Kung H., Progetto per unetica mondiale, Rizzoli, Milano 1991
  5. Lévinas E., Letica come filosofia prima, Guerini, Milano 1989
  6. Mancini R. (e altri), Etiche della mondialità, Cittadella, Assisi 1996
  7. Morin E. Kern B., Terra-Patria, Ed. R. Cortina, Milano 1994
  8. Panikkar R., Ecosofia: la nuova saggezza. Per una spiritualità della Terra, Cittadella, Assisi 1993
  9. Pinto De Oliveira C. J., La dimensione mondiale delletica, Dehoniane, Bologna 1986
  10. Pontara G., Etica e generazioni future, Laterza, Roma-Bari 1995
  11. Sen A., Etica ed economia, Laterza, Roma-Bari 1988
  12. Todorov T., Le morali della storia, Einaudi, Torino 1995
  13. Viano C. A. (a cura), Teorie

 

 

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